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Il pioppo di Pavia

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Il pioppo di Pavia

Anno 1996
mm 496 x 492
tiratura in 90 esemplari

Il pioppo di Pavia di Giovanni Raimondi

Il pioppo è la pianta più diffusa in pianura, anche se esistono razze “montane”. Sono centinaia di migliaia, forse milioni, nessuno li ha contati. Sorgono lungo le strade, nei pioppeti, nei terreni golenali e, con funzione ornamentale, davanti a cascine e a case di campagna. Eppure, gli esemplari che potrebbero definirsi monumentali sono pochissimi. Per una ragione semplice: i pioppi, che crescono rapidamente, altrettanto rapidamente vengono tagliati. Se ne fa legname. Serve per mobili, per consolidare terreni, sponde, per la preparazione delle paste di cellulosa da carta e, per la sua leggerezza, come imballaggio. E, per la sua infiammabilità, si trasforma anche in fiammiferi. Il “taglio” ha pure forsennatamente colpito in questi anni le piante che segnano i confini dei terreni coltivati. La pena di morte è stata emessa da molti agricoltori. L’accusa: “Fanno ombra alle coltivazioni”. Il pioppo qui rappresentato, a parte le misure non indifferenti (altezza che supera i venti metri, tronco di oltre quattro) e l’aspetto dolce e maestoso, ha pure un certo interesse particolare: mentre lui si è salvato dalla sega a motore, la cascina che ha di fronte, dalla quale avrebbe dovuto uscire, per così dire, il boia, sta cadendo in rovina. Questo pioppo lo si può ammirare all’inizio della via, chiamata “bretella”, che unisce Pavia all’autostrada Milano-Genova. Una via veloce. Ma vale la pena di una brevissima sosta. Tuttavia, non venga in mente a nessuno, in questi tempi di erboristerie, di staccarne, in qualsiasi stagione, la corteccia per fare un decotto, che avrebbe azione tonica, antitermica, leggermente astringente. Innanzitutto, si può fare solo in autunno; e poi, neppure in campagna, ricordano bene come. Non è questo il solo albero interessante di Pavia. Nell’Orto Botanico c’è un platano orientale alto quarantacinque metri. Ma per vederlo non basta una breve sosta in auto. Bisogna ottenere il permesso – e non si sa se facilmente o con lunga trafila burocratica- dall’Università, facoltà di agraria.

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